In tanti nostri contenuti ci siamo spesso ritrovati di fronte all’utilizzo della valutazione equitativa del giudice, per determinare l’entità del danno in caso di assenza di prove precise.

In questo articolo spiegheremo di cosa si tratta, quando viene utilizzata e in che modo viene calcolato il risarcimento danni.

Che cosa è?

Secondo quanto disposto dall’articolo 1226 del Codice civile, quando il danno non può essere dimostrato nella sua precisa entità, questo è liquidato dal giudice con valutazione equitativa.

La valutazione equitativa può essere utilizzata dal giudice solo quando il danneggiato ha difficoltà a dimostrare il “quantum” del danno e non si può attuare invece quando non si riesce a provare l’esistenza di quest’ultimo.

Tale articolo del Codice civile serve quindi per tutelare il soggetto che ha subito un danno di cui non riesce a dimostrare il suo preciso ammontare, a causa magari delle complesse valutazioni tecniche necessarie per farlo.

Tuttavia, come detto in precedenza, affinché il giudice possa procedere con una valutazione equitativa è necessario che il danneggiato abbia precedentemente dimostrato la sussistenza del danno e che la prova del preciso ammontare sia impossibile o anche solo difficile (sentenze Cassazione n.6414 del 2000 e n.1201 del 1998).

Quindi, in base alle peculiarità del caso concreto, tale valutazione del danno può essere attuata non solo quando è impossibile dimostrarne l’entità, ma anche quando è necessario affrontare grandi difficoltà per farlo.

Come ribadito dalla Cassazione, nella sentenza n.8795 del 2000, l’apprezzamento equitativo del giudice ha la funzione di colmare esclusivamente le inevitabili lacune relative alla precisa quantificazione del danno subito; quindi non esonera il danneggiato dal fornire le prove sulla sua sussistenza.

Il giudice, pur avendo potere discrezionale, è tenuto a dare conto, nella motivazione della sentenza, di tutti i vari fattori di probabile incidenza sul danno considerati e del peso specifico a loro attribuito, così da rendere trasparente il percorso logico seguito nella sua valutazione.

Infatti, come specificato dalla Cassazione nella sentenza n.22272 del 2018, qualora non siano indicate le ragioni della valutazione effettuata e non siano precisati gli specifici criteri utilizzati per la liquidazione, la sentenza incorre nel vizio di nullità per difetto di motivazione.

Quando invece la motivazione della decisione specifica il processo valutativo e logico seguito dal giudice, la valutazione equitativa non è soggetta a sindacato in sede di legittimità e quindi non può essere contestata.

 

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Quando viene utilizzata?

Come detto, la valutazione equitativa del giudice è necessaria ogniqualvolta il danneggiato sia impossibilitato o abbia difficoltà nel dimostrare il “quantum” del danno subito, la cui esistenza però è già stata provata.

Infatti, quando si richiede un risarcimento danni, il danneggiato ha l’onere di dimostrare sia l’esistenza del danno, sia la sua precisa entità.

Nel nostro ordinamento infatti non possono essere risarciti i danni presunti e per adire in giudizio è necessario che il danno subito sia concreto, attuale ed effettivo.

La valutazione equitativa può essere utilizzata per determinare l’entità sia dei danni non patrimoniali, sia di quelli patrimoniali.

Ad esempio, per la quantificazione del danno patrimoniale futuro da perdita della capacità lavorativa, i redditi perduti vengono calcolati utilizzando la retribuzione media dell’intera vita lavorativa del danneggiato, che può essere ricavata da parametri di rilievo normativo oppure valutata in via equitativa dal giudice (Cassazione, sentenza n.16913 del 2019).

Infatti, come ribadito dalla Cassazione nell’ordinanza n.8896 del 2016, il reddito del danneggiato da utilizzare per il calcolo del danno patrimoniale futuro da incapacità lavorativa deve essere equitativamente aumentato rispetto a quello effettivamente percepito, quando è ragionevolmente ipotizzabile che questo sarebbe cresciuto nel corso degli anni.

Stesso discorso per il risarcimento del danno da perdita di chance, anche in questo caso infatti la quantificazione può essere determinata in via equitativa dal giudice, in base alle reali possibilità del danneggiato di conseguire quei futuri vantaggi economici e patrimoniali che il fatto illecito subito gli ha impedito di ottenere.

Per quanto riguarda i danni di natura non patrimoniale, ossia quelli che non incidono sulla sfera economica del danneggiato, ma solo sulla sua integrità psicofisica, morale ed esistenziale, esistono specifiche tabelle da utilizzare per la quantificazione del risarcimento, come quelle utilizzate per il calcolo del danno macropermanente.

Nel risarcimento del danno non patrimoniale da incidente infatti, il medico legale e il giudice, per quantificare le lesioni fisiche patite dal danneggiato ed il relativo risarcimento, hanno a disposizione delle specifiche tabelle che gli consentono di attribuire la precisa percentuale di invalidità e la corretta quantificazione del danno, in base alle menomazioni riscontrate nel soggetto.

Mentre, può essere più complicato quantificare con precisione l’entità del danno morale ed esistenziale sofferto dalla vittima dell’incidente, ossia la sofferenza interiore e il peggioramento della qualità della vita conseguenti alle lesioni riportate nel sinistro.

Ad esempio, quando una persona subisce delle gravi lesioni, tali da sconvolgere in maniera importante la sua vita sociale e relazionale, ha diritto a un risarcimento del danno esistenziale, la cui entità, come stabilito dalla Cassazione nella sentenza n.19963 del 2013, è suscettibile di valutazione equitativa da parte del giudice.

 

Come si calcola?

La valutazione equitativa del giudice, è vero che si basa sul suo prudente apprezzamento, tuttavia non può sconfinare nel mero arbitrio.

Il giudice infatti ha il dovere di basarsi su criteri obbiettivi, noti e accolti dal vigente ordinamento e su nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza.

Per equità in giurisprudenza significa infatti eliminare le disparità di trattamento e le ingiustizie, quindi garantire che la valutazione sia proporzionata ed equa, tenendo conto di tutte le circostanze specifiche del caso in oggetto.

Per garantire un principio di equità e quindi consentire che casi simili vengano trattati allo stesso modo, in molti ambiti, specialmente in quello riguardante il diritto alla salute, sono stati individuati dei parametri di riferimento che devono essere utilizzati dal giudice per la sua valutazione.

Ad esempio, nel risarcimento da incidente stradale mortale, come ribadito dalla Cassazione con l’ordinanza n.907 del 2018, per la liquidazione del danno da perdita del congiunto, il giudice nella sua valutazione equitativa deve tenere conto dell’intensità del vincolo familiare, dell’eventuale convivenza con la vittima, dell’età di quest’ultima e dei superstiti, delle abitudini di vita e di ogni ulteriore circostanza utile.

Per garantire uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi sono state introdotte delle tabelle sul risarcimento per morte da incidente stradale; le quali prevedono una forbice di importi monetari che consente di tener conto di tutte le circostanze e peculiarità del caso concreto.

Un altro esempio può essere il risarcimento del danno morale che, pur essendo previsti criteri di personalizzazione in misura percentuale rispetto al danno biologico, in quanto impossibile da quantificare in maniera analitica, necessita di una valutazione equitativa da parte del giudice, che tenga in considerazione delle effettive sofferenze patite dalla persona, della gravità del fatto illecito subito e di tutte le altre circostanze utili del caso concreto.

Come detto precedentemente, il presupposto per effettuare una valutazione equitativa del danno è la certezza dell’esistenza dello stesso. Quindi, al danneggiato spetta sempre dimostrare concretamente di aver subito un danno.

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