Quando si subiscono dei danni psicofisici o economici a causa di un errore medico, il danneggiato ha diritto a ottenere un risarcimento monetario dal responsabile.

In questo articolo vedremo in quali occasioni possiamo ritenerci vittima di un caso di malasanità e come dobbiamo comportarci per ottenere un risarcimento dei danni subiti.

Cosa si intende per errore medico?

Per errore medico si intende un intervento, una terapia o una diagnosi omessa o non corretta che provoca un evento avverso clinicamente significativo nel paziente.

Non tutti gli avventi avversi dipendono da un errore medico, ma solo quelli considerati evitabili.

Rientrano nei casi di malasanità: l’omissione, l’errore o il ritardo di una diagnosi, di un intervento, di un esame diagnostico, di una gestione della terapia o della somministrazione di farmaci causati da imperizia, negligenza o imprudenza del personale sanitario, che provocano un peggioramento delle condizioni di salute del paziente.

I danneggiati, il paziente e i suoi congiunti, hanno diritto a ottenere un risarcimento per i danni subiti, sia per quelli di natura non patrimoniale (danno biologico, morale ed esistenziale), sia per quelli di natura patrimoniale (danno emergente e lucro cessante).

Ricordiamo infatti che è previsto un risarcimento ai familiari della vittima di malasanità, non solo in caso di decesso del paziente, ma anche per l’errore medico invalidante, da cui consegue un peggioramento delle abitudini quotidiane dei prossimi congiunti (danno esistenziale), che dovranno prestare costante assistenza al familiare menomato (Cassazione sentenza n.28220 del 2019).

Anche il paziente che non viene correttamente informato, in maniera chiara e completa delle caratteristiche e dei rischi dell’intervento sanitario a cui dovrà essere sottoposto, ha diritto a un risarcimento danni per mancato consenso informato.

Perfino nel caso in cui l’intervento vada a buon fine e non abbia causato conseguenze il paziente può richiedere un risarcimento se non ha dato il proprio consenso a procedere.

Si parla di malasanità anche quando il paziente, a causa di una responsabilità del personale medico o della struttura sanitaria, contrae un’infezione nosocomiale (risarcimento danni per infezione ospedaliera).

Ogni anno oltre mezzo milione di persone contraggono un’infezione all’interno degli ospedali che non avevano prima del loro ingresso nella struttura.

Tali infezioni possono provocare gravi patologie e, in taluni casi, anche il decesso del paziente.

La malasanità ovviamente non riguarda solo gli errori avvenuti all’interno degli ospedali pubblici, ma attiene anche ai medici che esercitano l’attività in regime di libera professione.

Ad esempio, si ha sempre diritto a un risarcimento danni per errore del dentista, anche se la prestazione è avvenuta all’interno di uno studio privato.

 

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Responsabilità del medico e della struttura sanitaria

Prima di parlare dell’onere della prova per i casi di malasanità è necessario introdurre la differenza tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.

La responsabilità civile può essere contrattuale, per il mancato o inesatto adempimento della prestazione dovuta (art.1218 del Codice civile), oppure extracontrattuale, per il fatto illecito che ha cagionato a terzi un danno ingiusto (art.2043 c.c.).

Il rapporto che si instaura tra una struttura sanitaria pubblica o privata e il paziente è di tipo contrattuale, fondata sulla conclusione di un contratto di prestazione d’opera atipico, detto di spedalità.

Con tale contratto, la struttura si impegna, non solo a fornire assistenza sanitaria, ma anche a mettere a disposizione del personale medico e paramedico le attrezzature e i medicinali necessari e a garantire la salubrità degli spazi.

Mentre, il medico operante nella struttura ha nei confronti del paziente una responsabilità di natura extracontrattuale, tranne quando abbia agito nell’adempimento di un’obbligazione contrattuale assunta con il paziente stesso.

Quindi, quando si subisce un danno a causa di un errore medico è possibile agire sia nei confronti del sanitario, per il fatto illecito commesso, sia nei confronti della struttura, che risponde, non solo dei propri inadempimenti e omissioni, ma anche dei fatti colposi o dolosi del personale medico, paramedico o ausiliario di cui si sia avvalso, anche se scelto dal paziente e ancorché non sia dipendente della struttura stessa, così come ribadito dall’articolo 7 della Legge Gelli Bianco, n.24 dell’8 marzo 2017.

 

L’onere della prova e il nesso di causa

Come abbiamo visto nel capitolo precedente, il paziente rimasto danneggiato può rivalersi civilmente nei confronti della struttura sanitaria per una responsabilità contrattuale e nei confronti del medico che ha commesso l’errore per una responsabilità extracontrattuale.

Per quanto riguarda la responsabilità contrattuale, spetta al debitore, la struttura sanitaria, dimostrare l’assenza dell’inadempimento oppure che sia stato determinato da una causa a lui non imputabile; mentre nella responsabilità extracontrattuale è il danneggiato che, per ottenere un risarcimento, deve provare l’esistenza del danno, dell’illecito e del nesso causale tra i due.

L’esercente la professione sanitaria invece, per liberarsi dalla responsabilità, ha l’onere di dimostrare che non ci sia stato alcun errore colposo o doloso, oppure che questo non sia stato la causa dei danni lamentati dal danneggiato (mancanza del nesso causale tra prestazione sanitaria e danno), e quindi che il danno sia stato conseguenza di un evento imprevisto e imprevedibile (caso fortuito).

Quindi, come ricordato anche dalla Cassazione nella sentenza n.5487 del 2019, per ottenere un risarcimento per malasanità è determinate dimostrare il nesso di causalità fra l’insorgenza o l’aggravamento della patologia e la condotta del sanitario.

Si ha perciò nesso causale quando il danno sia diretta conseguenza del comportamento omissivo o commissivo del medico.

Ricordiamo infatti che, anche un’omissione o un ritardo diagnostico-terapeutico può provocare un pregiudizio risarcibile al paziente (risarcimento danni per errore diagnostico).

In effetti, come stabilisce l’articolo 40 del Codice penale, il non impedire un evento che si è obbligati giuridicamente a impedire, equivale a cagionarlo.

Spetta al danneggiato dimostrare il nesso di causa, tramite l’assistenza di un consulente legale esperto in casi di malasanità e di un medico legale di parte, che si occuperanno di certificare i danni patiti dal paziente e di analizzare la cartella clinica dell’ospedale e ogni altra documentazione e informazione utile per inoltrare una richiesta di risarcimento.

Nella sentenza n.24073 del 2017 la Cassazione ha specificato che il nesso di causa può essere dedotto alla stregua di un criterio di prevedibilità oggettiva (“più probabile che non”), desumibile da leggi scientifiche e regole statistiche.

 

Calcolo del risarcimento per malasanità

Come stabilito dalla stessa Legge Gelli Bianco vista in precedenza, all’articolo 7 comma 4 si dispone che il risarcimento dei danni conseguenti l’attività della struttura sanitaria pubblica o privata e del personale sanitario è calcolato sulla base delle tabelle previste dagli articoli 138 e 139 del Codice delle assicurazioni private.

Tali tabelle sono le stesse che vengono utilizzate per il risarcimento del danno non patrimoniale da incidente stradale e si suddividono in danni di lieve (lesioni pari o inferiori al 9% di invalidità permanente) e di grave entità (menomazioni comprese tra dieci e cento punti di invalidità).

Tramite l’utilizzo di queste tabelle, in cui sono indicate tutte le lesioni all’integrità psicofisica e il loro relativo punteggio, il medico legale può calcolare l’invalidità permanente complessiva residuata nel danneggiato.

Una volta quantificata la percentuale di invalidità permanente e il periodo e l’entità dell’inabilità temporanea, tramite ulteriori tabelle è possibile procedere al calcolo del risarcimento monetario.

Per il calcolo delle micropermanenti (1-9%) sono state introdotte delle specifiche tabelle da utilizzare per determinare il risarcimento, che vengono aggiornate quasi ogni anno tramite decreti del Ministero dello sviluppo economico, in base alla variazione dell’indice dei prezzi al consumo ISTAT.

Mentre per il calcolo del danno macropermanente (10-100%), non essendo ancora stata istituita una tabella unica nazionale per quantificare il risarcimento, sono da tempo utilizzate quelle elaborate dal Tribunale di Milano, perché considerate da diverse sentenze della Cassazione (tra cui la n.28890 del 2019) le più idonee a garantire equità valutativa e a evitare disparità di trattamento.

Tutto ciò che abbiamo visto finora riguarda però solo il risarcimento del danno non patrimoniale, ma sappiamo bene che un errore medico può comportare diversi e importanti pregiudizi anche di carattere economico.

I danneggiati da malasanità hanno diritto quindi a un risarcimento anche per tutti i danni patrimoniali subiti.

Fanno parte dei pregiudizi di natura patrimoniale: il danno emergente, ossia le perdite economiche subite a causa dell’errore medico (es.: spese mediche sostenute per visite, farmaci ed esami) e il lucro cessante, ovvero il mancato guadagno che si sarebbe prodotto se non ci fosse stato l’evento lesivo (es.: perdita o riduzione della capacità lavorativa).

 

Processo penale, azione civile e termini di prescrizione

Per i casi di malasanità ci sono due strade per ottenere un risarcimento danni: il giudizio penale e l’azione civile.

Come stabilisce l’articolo 590 del Codice penale però, non sempre l’errore medico integra un reato perseguibile penalmente.

Infatti, la norma specifica che, qualora l’errore sia stato causato da imperizia del sanitario (mancanza della preparazione tecnica e professionale), questo non è punibile quando sono state rispettate le linee guida e le buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica.

Quando dal comportamento del medico scaturisce un reato perseguibile d’ufficio (es.: omicidio colposo) o a querela di parte (dove è necessaria la denuncia della persona offesa, come ad esempio per il reato di lesioni colpose), si instaura un’azione penale, con la quale il pubblico ministero, a seguito delle indagini preliminari, presenta al giudice una richiesta di rinvio a giudizio.

In questi casi il soggetto danneggiato ha due possibilità per richiedere il risarcimento danni: costituirsi parte civile nel processo penale, oppure avviare un’azione civile distinta e lasciare che il giudizio penale faccia il suo corso.

Le due azioni hanno finalità e destinatari completamente diversi tra loro e non esiste una strada migliore dell’altra: dipende dal caso specifico. Sarà compito del legale darci le migliori indicazioni su come procedere per pervenire a un giusto risarcimento dei danni dubiti.

Per quanto riguarda infine i termini di prescrizione, trascorsi i quali si perde il diritto al risarcimento, sono pari a 10 anni per responsabilità contrattuale e a 5 anni per responsabilità extracontrattuale.

I termini di prescrizione non iniziano a decorrere dal giorno in cui è stato commesso l’errore, ma da quando la malattia viene percepita o può essere percepita dal paziente come un danno ingiusto conseguente alla condotta del terzo (Cassazione sentenza n.21715 del 2013).

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