Da un recente rapporto del Ministero della salute sui rischi clinici sono emersi dati preoccupanti riguardo le infezioni nosocomiali, ossia quelle contratte in ospedale.

Ogni anno mezzo milione di pazienti che vengono ricoverati in ospedale, contraggono un’infezione che prima dell’ingresso nella struttura sanitaria non avevano.

Le infezioni ospedaliere uccidono due volte di più degli incidenti stradali, circa 7000 morti ogni anno e si stima che il 5% dei pazienti ospedalizzati contragga un’infezione nosocomiale.

Trattasi di casi di malasanità dovuti alla presenza di microrganismi patogeni all’interno dell’ambiente ospedaliero e ad una scorretta applicazione delle linee guida sulla prevenzione (si stima che oltre il 50% delle infezioni ospedaliere siano evitabili seguendo le indicazioni sulla prevenzione).

Le infezioni ospedaliere

Le zone più colpite da infezioni ospedaliere sono il tratto urinario, le ferite chirurgiche, l’apparato respiratorio e le cosiddette infezioni sistemiche come sepsi e batteriemie.

Le conseguenze più frequenti sono le infezioni del sito chirurgico (dal 2 al 5% dei pazienti operati), le polmoniti, le setticemie, le infezioni da batterio Clostridium difficile e del catetere urinario.

Le fonti delle infezioni virali o batteriche sono innumerevoli ed il serbatoio comprende qualsiasi persona, pianta, oggetto, terreno e animale in cui l’agente patogeno vive e si riproduce e da cui può scaturire un contagio.

Le infezioni si suddividono in:

  • endogene, quando l’infezione si origina dal paziente stesso;
  • esogene, quando il patogeno è acquisito dall’ambiente esterno o da altri pazienti presenti nella struttura ospedaliera (attraverso contatti diretti con la persona infetta, tramite tosse e starnuti, cibo, sangue o strumenti contaminati).

 

Come si contraggono le infezioni in ospedale

I veicoli di trasmissione più frequenti sono, oltre le mani degli operatori della struttura sanitaria, gli impianti di ventilazione ed aerazione, la rete idrica e gli oggetti e gli strumenti ospedalieri che si suddividono in base al rischio di contagio, alla loro invasività e alla necessità di disinfezione e sterilizzazione.

  • Gli oggetti critici, come i bisturi, gli aghi e tutti gli strumenti chirurgici, richiedono la sterilizzazione prima del loro utilizzo;
  • i semi critici invece necessitano di una disinfezione ad alto livello e comprendono tutti quegli strumenti utilizzati per entrare in contatto con membrane intatte del corpo senza la penetrazione dei tessuti, come ad esempio gli endoscopi, i laringoscopi e i portaimpronte odontoiatrici;
  • infine ci sono i dispositivi medici non critici che richiedono una disinfezione a basso livello e che vengono utilizzati a contatto con la cute intatta del paziente come ad esempio i termometri e gli sfigmomanometri.

 

La colpa medica nell’infezione ospedaliera

Le infezioni contratte in ospedale possono causare nel paziente gravi patologie, in alcuni casi anche letali (circa 4 mila morti ogni anno).

Quando si riscontra una responsabilità del medico o della struttura sanitaria, il paziente ha diritto ad ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa dell’infezione contratta.

Le patologie contratte a cause dell’infezione ospedaliera spesso sono frutto di errori nella scelta ed utilizzo degli antibiotici, di tardive diagnosi o di errati trattamenti da parte dell’ospedale.

La struttura sanitaria per liberarsi dalla responsabilità ha l’onere di dimostrare di aver rispettato tutte le misure ritenuti più idonee ed efficaci in base al caso specifico.

Così come stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n.13328 del 2015, le complicanze inevitabili di un intervento non sono giuridicamente rilevanti.

Per chiarire, qualora a seguito di un intervento si verifichi un aggravamento delle condizioni di salute del paziente, nonostante lo stato peggiorativo rientri nelle statistiche cliniche di quella tipologia di intervento, qualora il peggioramento fosse stato prevedibile ed evitabile, esso verrebbe considerato causato per colpa del medico.

Al contrario se il peggioramento delle condizioni del paziente non fosse stato prevedibile o evitabile il medico risulterebbe esente da responsabilità (causa non imputabile al debitore, articolo 1218 del Codice civile).

E’ onere del medico dimostrare la prevedibilità ed evitabilità del caso concreto.

 

Come ottenere il risarcimento per infezione nosocomiale

Le procedure per il risarcimento possono essere parecchio complesse e necessitano quindi di legali esperti in materia.

Il paziente danneggiato per ottenere il risarcimento dei danni ha l’onere di provare la sua presenza all’interno dell’ospedale, il peggioramento delle sue condizioni di salute e l’inadempimento della struttura.

Il debitore, dal canto suo, dovrà invece dimostrare l’assenza di un inadempimento o che comunque lo stesso non sia stato la causa del peggioramento delle condizioni di salute del paziente.

Gli inadempimenti della struttura ospedaliera che possono causare un’infezione ad un paziente ricoverato sono molteplici. Tra i più frequenti possiamo citare:

  • il mancato utilizzo di dispositivi di protezione da parte del personale;
  • il non aver messo in atto tutti i protocolli e le disposizioni in materia di prevenzione (disinfezione e sterilizzazione di ambienti e strumenti);
  • qualità dell’aria, dell’acqua, del cibo e della biancheria non a norma;
  • assenza o scarsità di controlli sullo stato di salute di dipendenti ed operatori sanitari;
  • assenza o scarsità di controlli sull’accesso dei visitatori, sulla conservazione dei disinfettanti e sullo smaltimento dei rifiuti;
  • la non attuazione di tutte le procedure, controlli e pianificazioni obbligatorie stabilite dalla legge.

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Alcuni casi di risarcimento per infezione ospedaliera

Il 9 agosto del 2017, il Tribunale di Roma, ha disposto, in favore del coniuge di una vittima da infezione nosocomiale, un risarcimento di quasi un milione di euro.

La vittima ricoverata in ospedale, a causa di una patologia cardiaca, era deceduta per aver contratto durante la degenza un’infezione batterica.

Dalla perizia medico legale è stato accertato che il decesso del paziente fu provocato da tre tipologie di batteri che si diffondono in ambienti con scarsa igiene e pulizia.

Gli avvocati e il medico legale del coniuge della vittima sono riusciti a dimostrare una responsabilità della struttura ospedaliera per non aver adottato tutte le misure necessarie ad evitare il contagio, mentre quest’ultima non è riuscita a fornire prove contrarie.

In un’altra sentenza del 2017, il Tribunale di Genova ha condannato la struttura sanitaria al risarcimento di oltre 420.000 euro per il danno biologico subito da un paziente, conseguente un’infezione contratta in ospedale.

Il paziente che si era recato in ospedale per una colica renale si è visto peggiorare le proprie condizioni di salute a causa di un’infezione contratta all’interno della struttura, tanto da comportargli un’invalidità permanente di 40 punti percentuali.

Il Tribunale, attraverso le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, ha ritenuto colpevole l’ospedale e ha stabilito un risarcimento per i danni subiti dal paziente.

 

Termini di prescrizione e infezioni da trasfusioni di sangue e vaccinazioni

Lo Stato, attraverso la legge n.210 del 1992, ha stabilito un indennizzo monetario per tutti colori che abbiano riportato dei danni a causa di vaccinazioni obbligatorie, di trasfusioni di sangue infetto o di emoderivati.

L’indennizzo non sostituisce, né preclude la possibilità di ottenere un risarcimento danni.

Per ulteriori informazioni su questo argomento consigliamo la lettura dell’articolo sul risarcimento danni da trasfusione di sangue infetto.

I termini di prescrizioni per responsabilità contrattuale dell’ospedale sono pari a 10 anni e partono dal momento in cui si è manifestato il danno per il quale si richiede un risarcimento.

Mentre per responsabilità extracontrattuale, come ad esempio in caso di richiesta di risarcimento alla casa farmaceutica che ha prodotto il farmaco infetto o al Ministero della Salute, i termini si riducono a cinque anni.

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