Secondo i dati Censis, in Italia gli animali domestici sono circa 32 milioni e presenti nel 52% delle nostre case (secondi in classifica in Europa).

Gli animali più numerosi sono gli uccelli (circa 13 milioni), a seguire troviamo i gatti (7,5 milioni) e i cani (7 milioni).

In questo articolo vedremo com’è disciplinata la responsabilità civile e penale per gli incidenti causati dagli animali domestici ed il risarcimento per i danni da questi provocati.

Responsabilità civile e penale per danni provocati da animali domestici

Secondo quanto stabilito dall’articolo 2052 del Codice civile, il proprietario di un animale o chi se ne serve è responsabile di tutti i danni da questo cagionati.

Tale responsabilità civile vige sia quando l’animale è sotto la propria custodia, sia quando è smarrito o fuggito, salvo il caso in cui venga provato il caso fortuito.

Inoltre, nella sentenza della Cassazione sezione Penale n.17145 del 2017, dove si decideva in merito ad un caso di aggressione da parte di un cane (reato di lesioni personali colpose, art.590 Codice penale), la Corte ha precisato che chi detiene un animale assume una posizione di garanzia e ha l’obbligo di controllarlo e custodirlo affinché non provochi danni a terzi, a prescindere dalla proprietà dello stesso.

Da questa sentenza si evince che l’obbligo di custodia vige ogni volta che sussiste una relazione, anche di semplice detenzione, tra la persona e l’animale (Cassazione sentenza n.34813 del 2010).

In presenza di danni materiali o lesione fisiche, è considerato responsabile e quindi tenuto al risarcimento dei danni provocati dall’animale chiunque abbia in quel momento il potere di controllo sullo stesso.

Tuttavia non tutta la dottrina è d’accordo con questa tesi e invece considera determinante per la responsabilità l’uso dell’animale e non il potere di custodia.

Secondo questa corrente di pensiero, la responsabilità civile disciplinata dall’articolo 2052 non ricadrebbe su chi custodisce effettivamente l’animale, ma sul proprietario dello stesso, o di chi ne faccia uso, a prescindere dalla custodia.

In base a questo orientamento (al momento prevalente) risponderebbero dei danni quindi solo coloro che traggono un qualsiasi tipo di utilità dall’animale e non invece chi lo detiene e custodisce solo occasionalmente (come ad esempio un amico o una pensione per cani).

 

Il caso fortuito nei danni provocati da animali

La responsabilità del proprietario, o di colui che se ne serve, è oggettiva, di conseguenza questi rispondono dei danni causati dall’animale, indipendentemente dall’esistenza di un comportamento doloso o colposo, ma solo per il fatto di esserne proprietario o momentaneo utilizzatore.

Il convenuto per liberarsi dalla responsabilità dei danni provocati dall’animale deve dimostrare l’esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere il nesso di causa tra l’animale e l’evento lesivo (Cassazione sentenza n.7260 del 2013).

Il proprietario dell’animale deve quindi provare che i danni siano stati provocati da un evento imprevedibile ed inevitabile (il cosiddetto caso fortuito).

Nella sentenza n.9037 del 2010 la Cassazione ha chiarito che non è sufficiente per liberarsi dalla responsabilità dimostrare di aver utilizzato la comune diligenza nella custodia dell’animale.

Ad esempio, la giurisprudenza ritiene che non possa essere considerato un evento imprevedibile ed inevitabile il repentino mutamento di umore dell’animale o il fatto che lo stesso, prima dell’evento lesivo, sia sempre stato tranquillo e mansueto.

Anche il fatto che l’animale possa aver causato dei danni solo dopo essere stato molestato da dei bambini non libera il proprietario dalle proprie responsabilità; in quanto lo stesso deve comunque tener conto della possibilità che delle persone estranee possano irritare l’animale e quindi adottare tutte le misure di cautela necessarie per evitare anche eventi di questo tipo.

Per approfondire l’argomento consigliamo la lettura dell’articolo sul risarcimento danni per il morso di un cane.

Pure l’uso del guinzaglio non esclude la responsabilità del proprietario, in quanto, pur essendo considerato uno strumento utile per ridurre il rischio di morsi ed aggressioni, non impedisce che l’animale possa comunque provocare dei danni a terzi, soprattutto quando si tratta di cani di grossa taglia.

 

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Incidente stradale causato da animali

Secondo quanto stabilito dall’articolo 169 del Codice della Strada è vietato il trasporto a bordo di più di un animale domestico, il quale deve essere anche messo in condizioni tali da non costituire pericolo o impedimento per la guida.

È consentito il trasporto di due o più animali domestici solo quando custoditi in apposite gabbie o contenitori oppure nel vano posteriore del veicolo opportunamente diviso da una rete o da un altro analogo strumento idoneo.

In caso di incidente stradale provocato da un animale domestico la responsabilità viene imputata al suo padrone, ai sensi del già citato articolo 2052 del Codice civile.

Come abbiamo visto, la norma specifica che si è responsabili anche quando l’animale risulti smarrito o fuggito.

Tuttavia, l’articolo 2054 del Codice civile dispone che il conducente di un veicolo è obbligato a risarcire i danni causati dalla circolazione a persone, animali o cose, se non dimostra di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.

Ci troviamo quindi di fronte a due presunzioni di responsabilità, in capo sia al padrone dell’animale domestico, sia al conducente del veicolo.

In questi casi perciò, in assenza di una chiara dinamica del sinistro, si avrà il cosiddetto concorso di colpa paritario tra i soggetti interessati con conseguente riduzione per entrambi del risarcimento danni.

Per ottenere quindi un integrale risarcimento danni da incidente stradale è necessario superare tale presunzione di responsabilità, dimostrando che il sinistro sia avvenuto esclusivamente per la condotta colpevole della controparte.

Ad esempio, nella sentenza n.4202 del 2017 la Cassazione ha ritenuto unico responsabile di un sinistro stradale il proprietario di un cane.

La controparte, il conducente del veicolo, aveva riportato dei danni alla propria auto a causa dello scontro con l’animale domestico, fuggito e sbucato improvvisamente sulla carreggiata.

Mentre l’entità dei danni riportati dal veicolo era compatibile con l’attraversamento improvviso dell’animale (quindi impossibile da evitare), il padrone del cane non aveva superato la presunzione di responsabilità dell’articolo 2052 c.c. e non aveva nemmeno fornito alcuna prova su un eventuale comportamento colposo del conducente dell’autovettura (come ad esempio un eccesso di velocità).

Per questi motivi la Corte ha posto interamente la responsabilità del sinistro a carico del custode dell’animale domestico fuggito, obbligandolo di conseguenza al risarcimento dei danni subiti dalla controparte.

 

Cosa fare se si investe un animale

L’articolo 189 del Codice della strada, al comma 9-bis, stabilisce in caso di incidente l’obbligo per l’utente della strada di fermarsi e prestare soccorso agli animali d’affezione, protetti e da reddito che abbiano subito un danno ricollegabile ad un proprio comportamento.

La sanzione per chi non si ferma è il pagamento di una multa da 410 a 1.643 euro.

Tutte le persone coinvolte nel sinistro stradale con l’animale hanno l’obbligo di porre ogni misura necessaria per garantire un immediato intervento di soccorso (chiamare la Polizia locale, la Polizia stradale, i Carabinieri, il servizio veterinario dell’Asl di zona oppure il Corpo Forestale).

Chi non ottempera a quest’obbligo è punito con una sanzione da 82 a 328 euro.

Chiamare le Forze dell’Ordine è obbligatorio anche qualora l’animale fosse morto nell’incidente.

In caso di incidente stradale provocato da un animale domestico è possibile risalire al suo proprietario tramite la lettura del codice identificativo del microchip e la ricerca incrociata con i dati presenti nell’anagrafe degli animali d’affezione.

È possibile effettuare la lettura del microchip presso i servizi veterinari delle Asl, la Polizia municipale e gli ambulatori veterinari privati.

Qualora l’animale fosse sprovvisto di microchip, secondo la normativa vigente, verrebbe considerato vagante o randagio.

Di conseguenza, così come succede per il risarcimento per incidente causato da animali selvatici, la responsabilità dei danni deve essere imputata all’ente a cui è affidata la gestione del randagismo (solitamente Comune e Asl), sempre che venga riscontrata e dimostrata una colpa dell’amministrazione nell’adozione delle misure di sicurezza necessarie (sentenza Cassazione n.19404 del 2019).

 

Obbligo del microchip, denuncia di smarrimento e sanzioni

La legge n.281 del 1991 obbliga tutti i proprietari di cani di registrare il proprio animale all’anagrafe canina.

Dal 2004 è obbligatorio, per poter procedere all’iscrizione, far applicare sull’animale, da parte del medico veterinario, un microchip sottocutaneo.

Il microchip, introdotto per contrastare il fenomeno del randagismo, è importante perché permette di identificare l’animale in caso di fuga e smarrimento e di rintracciare il suo legittimo proprietario.

L’articolo 1 dell’Ordinanza del Ministero della Salute del 2008 prevede che il microchip venga inserito nel sottocute del collo dell’animale entro e non oltre i due mesi di vita.

La mancata iscrizione dell’animale all’anagrafe canina è punita con una sanzione fino ad oltre 450 euro in base alle norme della regione di pertinenza.

La stessa sanzione si applica anche in caso di omessa denuncia di scomparsa, morte e trasferimento di proprietà dell’animale.

Ovviamente anche la mancata applicazione del microchip entro il terzo mese di vita del cane è sanzionata con una multa.

In caso di smarrimento dell’animale, il proprietario ha quindi l’obbligo di denunciare senza indugio la scomparsa presso la polizia municipale, il dipartimento di prevenzione veterinaria dell’Asl oppure un veterinario accreditato.

Anche in caso di morte è obbligatorio per il proprietario dell’animale denunciare l’evento presso l’anagrafe regionale o il servizio veterinario dell’Asl competente, entro un massimo di 15 giorni (limite che cambia da Regione a Regione).

Per quanto riguarda i gatti invece, al momento l’obbligo del microchip vige solo per chi deve viaggiare all’estero e ha necessità del passaporto europeo.

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