Un bambino appena nato è molto fragile ed è molto importante adottare tutte le cautele necessarie durante il travaglio, il parto e i primi mesi di vita per evitare di procurargli dei danni.

Le lesioni che può subire un neonato possono variare da molto lievi (lividi) a molto gravi (danni cerebrali), in alcuni casi purtroppo può verificarsi anche la morte del bambino.

Quando il decesso del neonato poteva essere evitato e quindi l’evento sia stato conseguenza di un comportamento colposo o negligente di qualcuno (casi di malasanità, incidenti stradali, ecc.), i genitori (e i parenti più stretti) hanno diritto ad ottenere un risarcimento danni da parte di quest’ultimo.

In questo articolo vedremo quali sono i danni risarcibili e i criteri di calcolo utilizzati per determinare l’entità del risarcimento.

Danno da perdita parentale per la morte del neonato

Quando un neonato subisce delle lesioni fatali a causa di un illecito altrui si originano due diversi diritti al risarcimento, quello iure proprio e quello iure hereditatis.

I danni risarcibili iure proprio sono quei pregiudizi che, pur essendo arrecati ad un terzo, si riflettono anche sulle persone “vicine” alla vittima (cosiddetti danni riflessi o indiretti) e quindi quest’ultime sono da considerarsi danneggiate in proprio.

Mentre quelli iure hereditatis sono i danni subiti esclusivamente dalla vittima principale, il cui diritto al risarcimento si trasmette agli eredi a seguito del decesso.

In caso di morte di un neonato da fatto illecito, i congiunti più stretti hanno diritto a un risarcimento danni per le sofferenze soggettive e i turbamenti patiti a causa della perdita del rapporto parentale (danno biologico e morale iure proprio) e per le ripercussioni che tale evento avrà sul loro futuro e sulla qualità della loro vita (danno esistenziale).

Per il calcolo del risarcimento per la morte del congiunto vengono utilizzate le tabelle elaborate dal Tribunale di Roma (consultabili cliccando il precedente link) oppure le tabelle di Milano sul danno non patrimoniale.

Tramite queste tabelle è possibile calcolare l’entità del risarcimento a cui hanno diritto i congiunti della vittima, il cui ammontare dipende principalmente dal grado di parentela, dall’intensità del rapporto affettivo, dall’età dei soggetti in questione e dalla presenza o meno di altri familiari.

Fanno parte dei danni risarcibili iure proprio anche quelli di natura patrimoniale, ossia le perdite economiche patite e che si patiranno in futuro a causa dell’illecito subito (mancati guadagni, spese mediche, sanitarie, funebri, ecc.).

 

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Differenza tra feto e neonato

Secondo l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza, il bambino si considera neonato e non più feto quando vi è la fuoriuscita dall’alveo materno e il compimento di un atto respiratorio.

Per parlare di nascita e quindi avere un’autonomia vitale del nascituro è perciò necessaria la separazione dalla madre e un primo respiro del bambino (accertabile dal medico legale tramite prove docimasiche).

Questa differenza è molto importante in termini di risarcimento, soprattutto fino a qualche anno fa, quando il decesso di un feto non veniva mai equiparato alla perdita di un figlio, ma veniva considerato solo come una lesione del diritto alla genitorialità, con conseguenti enormi divergenze nell’entità degli importi del risarcimento.

Tuttavia, recenti sentenze, tra cui la n.12717 del 2015 della Cassazione, hanno affermato il principio secondo cui il feto nato morto è assimilabile al decesso di un figlio.

Nel caso in oggetto, i genitori avevano chiesto un risarcimento all’Azienda ASL di Roma, per il fatto che il loro figlio era nato morto a causa della condotta dei sanitari dell’ospedale (risarcimento per errore ostetrico e ginecologico).

La Suprema Corte ha specificato che il danno non patrimoniale sofferto dai genitori per la nascita di un feto morto deve essere quantificato in via equitativa e che la valutazione deve far riferimento alle tabelle applicate dai Tribunali di Roma e Milano, utilizzate per il calcolo del danno da perdita parentale, che abbiamo visto precedentemente.

I valori indicati da queste tabelle devono essere però ridotti in misura proporzionale in base al momento in cui è avvenuta la cessazione della gravidanza, in quanto per la perdita del nascituro è ipotizzabile solo il venir meno di una relazione affettiva potenziale (poiché il decesso è avvenuto prima della nascita) e non anche di una relazione concreta, sulla quale sono invece parametrati gli importi presenti nelle tabelle.

Nell’ordinanza n.5829 del 2016, il Tribunale di Milano ha riconosciuto anche il diritto al risarcimento per la perdita del feto causata da incidente stradale.

Anche in questo caso è stato risarcito il danno morale patito dai genitori, conseguente la perdita del potenziale rapporto parentale con il nascituro, quantificando l’importo del risarcimento in base ai valori delle tabelle di Milano, ridotti proporzionalmente nel loro ammontare in base al momento dell’evento, in quanto, come detto, la lesione riguarda un rapporto solo potenziale e non concreto.

In entrambi i casi sopracitati il risarcimento riconosciuto dai giudici per la perdita del nascituro, visto e considerato che le gravidanze erano pressoché giunte al termine (oltre il nono mese), è stato di circa 100.000 euro (inferiore quindi all’importo minimo stabilito dalle tabelle di Milano per il risarcimento in favore di ciascun genitore per la morte di un figlio).

 

Risarcimento del danno terminale, catastrofale e tanatologico

Fanno parte dei danni risarcibili iure hereditatis tutti i pregiudizi sofferti dalla vittima principale che si possono trasmettere in favore degli eredi iure successionis.

Come espresso dalle Sezioni Unite nella sentenza n.15350 del 2015 e ribadito successivamente dalla Cassazione nella sentenza n.22451 del 2017, i danni non patrimoniali risarcibili alla vittima e trasmissibili iure hereditatis ai suoi eredi sono:

  • il danno biologico terminale, definito come la compromissione del bene salute, consistente nei pregiudizi invalidanti patiti dalla vittima nel periodo compreso tra la lesione e la morte;
  • il danno catastrofale, che consiste nelle sofferenze intime e psichiche patite, provocate dalla consapevolezza in capo alla vittima dell’imminenza della propria morte a causa delle gravi lesioni riportate;
  • il danno tanatologico, ossia il danno da perdita della vita.

Per il risarcimento del danno terminale è necessario che tra la lesione e il decesso sia intercorso un apprezzabile lasso di tempo, con la conseguenza che tale pregiudizio non è riconosciuto in caso di morte immediata o a brevissima distanza dalle lesioni.

Secondo quanto affermato dalla Cassazione, nella sentenza n.18163 del 2007, affinché sussista il requisito dell’apprezzabile spazio intertemporale, occorre una netta separazione temporale tra l’evento lesivo e la morte, tale da consentire una distinzione del loro verificarsi nel tempo.

Come affermato dalle Sezioni Unite, nella sentenza n.15350 del 2015 e ribadito dalla Corte di Appello di Ancona, con la sentenza n.101 del 2019, in merito ad un caso di un neonato morto poco dopo la nascita, a causa di una condotta inadeguata dei sanitari dell’ospedale, anche il danno da perdita della vita non può essere risarcito quando la morte sia sopraggiunta immediatamente o a brevissima distanza di tempo dall’azione lesiva (calcolo danno tanatologico).

Mentre il Tribunale di Firenze, nella sentenza n.2110 del 2014, ha considerato non ravvisabile il danno catastrofale per la morte di un neonato deceduto poche ore dopo la nascita, in quanto, secondo il giudice, un bambino appena nato non è in grado di riconoscere l’agonia in quanto tale e non può avere la consapevole percezione dell’ineludibilità della propria fine.

 

Onere della prova e termini di prescrizione per malasanità

Considerate la drammaticità dell’evento e le ripercussioni devastanti che subiscono i genitori è molto importante affidarsi a professionisti esperti e specializzati in materia, che abbiano già affrontato casi così complessi e che sappiano come procedere per garantire il corretto riconoscimento dei propri diritti.

Soprattutto quando si sospetta un errore medico è determinante acquisire e far analizzare da medici altamente specializzati tutta la documentazione medica inerente al presunto caso di malasanità (certificati, cartelle cliniche, esami strumentali, ecc.) per verificare se l’evento sia stato determinato da imprudenza, imperizia, negligenza, colpa o dolo del personale medico e della struttura ospedaliera.

Come infatti ribadito dalla Cassazione, nella sentenza n.5487 del 2019, nei giudizi risarcitori da responsabilità medica, spetta al danneggiato l’onere di provare il nesso di causa tra l’evento dannoso e il comportamento colposo omissivo o commissivo del personale sanitario.

Mentre spetta alla struttura ospedaliera l’onere di dimostrare che l’erronea prestazione sia stata provocata da una causa ad essa non imputabile, in quanto determinata da un impedimento imprevedibile ed inevitabile, pur adottando l’ordinaria diligenza (sentenza Cassazione n.7044 del 2018).

Per quanto riguarda i termini di prescrizione, entro i quali è possibile agire per esercitare il diritto al risarcimento da malasanità, secondo quanto stabilito dalla legge Gelli n.24 del 2017, questi sono pari a 5 anni per quanto riguarda la responsabilità extracontrattuale del medico.

Termine prescrizionale che si allunga fino a 10 anni, quando si agisce nei confronti della struttura ospedaliera pubblica o privata dove è avvenuto l’evento, in quanto trattasi di responsabilità contrattuale.

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