Chi ha contratto malattie o subito lesioni alla propria integrità psicofisica a causa di una o più trasfusioni di sangue infetto o di emoderivati ha diritto al risarcimento dei danni subiti per malasanità.

I casi di contagio per trasfusione di sangue infetto

Epatite B, epatite C e HIV sono le patologie più frequenti causate dalle trasfusioni di sangue infetto. Il contagio può avvenire non solo attraverso le classiche trasfusioni di sangue e di emocomponenti, ma anche attraverso la somministrazione di farmaci derivati dal sangue (emoderivati).

Tutte le terapie trasfusionali sono considerati trattamenti sanitari e quindi disciplinati dalla tutela del diritto alla salute (art.32 della Costituzione). Sia quelle praticate periodicamente (per patologie croniche come talassemia ed emofilia), sia quelle praticate in via eccezionale per far fronte ad urgenze come nel caso degli incidenti stradali.

 

Chi è responsabile dei danni cagionati da trasfusioni di sangue infetto?

I soggetti responsabili possono essere il Ministero della Salute, la struttura sanitaria (dove è stata eseguita la trasfusione) e la casa farmaceutica (in caso di farmaci emoderivati infetti).

Il Ministero della Salute ha il compito di garantire il diritto alla salute dei cittadini e di verificare e controllare le strutture sanitarie e la commercializzazione dei farmaci.

In caso di infezione da trasfusione, il Ministero può quindi essere considerato responsabile dei danni conseguenti ad infezione, contratta da soggetti emotrasfusi, secondo l’art.2043 del codice civile, per condotta omissiva da carente controllo e vigilanza sul sangue utilizzato per terapie e produzione di emoderivati.

Controllo che, se sarebbe stato sufficientemente adeguato, avrebbe impedito il contagio della malattia al paziente (il nesso causale e la prova dell’illecito devono essere dimostrati dal danneggiato).

La struttura sanitaria invece risponde dei danni causati per responsabilità contrattuale. La struttura ha infatti l’obbligo di effettuare verifiche e controlli sul sangue prima di poterlo utilizzare per le terapie.

Ha l’obbligo inoltre di conservare i dati per la tracciabilità del sangue utilizzato per identificare donatore e centro di provenienza e di informare il cittadino, attraverso il consenso informato, dei possibili rischi della terapia trasfusionale.

Infine, tra i soggetti che possono essere ritenuti responsabili dei danni causati da sangue infetto, la casa farmaceutica può essere chiamata in causa, qualora l’infezione sia causata dalla somministrazione di un farmaco emoderivato infetto.

In quanto attività potenzialmente nociva, la colpa per chi produce e commercia farmaci è sempre presunta e quindi sarà la casa farmaceutica a dover dimostrare di aver utilizzato tutte le misure necessarie per evitare il danno per liberarsi dalla responsabilità del fatto.

 

La prescrizione nei casi di epatite e HIV da trasfusione di sangue

I termini di prescrizione, per richiedere il risarcimento dei danni, iniziano dal momento in cui il soggetto danneggiato ha la percezione della malattia e del suo collegamento con la trasfusione effettuata.

Non sarà quindi il giorno in cui è avvenuta la trasfusione il momento da cui partono i termini, che ricordiamo consistono in cinque anni per quanto riguarda le richieste effettuate nei confronti del Ministero o della casa farmaceutica.

Trattandosi di responsabilità contrattuale, i termini di prescrizione, per avanzare una richiesta di risarcimento danni nei confronti della struttura sanitaria in cui è stata effettuata la trasfusione, consistono in 10 anni .

Ricordiamo che la prescrizione deve essere eccepita dalla parte chiamata in giudizio e si può interrompere con una semplice lettera di diffida per far ripartire i termini di ulteriori 5 o 10 anni.

 

Come provare i danni da trasfusione di sangue infetto?

Dimostrare che il danno sia stato causato da un emotrasfusione di sangue infetto non è un’operazione troppo semplice.

Le difficoltà più frequenti sono dovute al fatto che le lesioni e malattie possono presentarsi dopo molti anni dalla terapia trasfusionale, oppure dovute al fatto che il paziente ha effettuato negli anni numerose trasfusioni e in diversi centri, per via di una sua patologia congenita ed individuare quindi il soggetto responsabile non è facile.

Altro ostacolo può verificarsi quando le cartelle cliniche non sono complete e la tracciabilità del sangue risulta compromessa.

Tuttavia per provare il nesso di causa/effetto tra infezione e trasfusione ci sono dei principi che ci possono venire in aiuto.

Si possono considerare provati i fatti anche quando non vi è una non contestazione; ciò si verifica quando i fatti descritti in maniera specifica dal soggetto danneggiato non vengono contestati in altrettanto modo analitico dall’accusato.

Anche la prova per presunzioni consente al paziente danneggiato di dimostrare un evento con l’utilizzo di più indizi (per fare un esempio, in tema di incidente stradale, dall’indizio dato dalla lunghezza di una frenata, si può riuscire a provare la velocità di un autoveicolo; il giudice quindi, può ricavare la prova di un fatto ignorato, attraverso una prova indiziaria nota).

 

Come calcolare il risarcimento danni per epatite C e HIV da trasfusione di sangue

Quando si è vittima di una trasfusione di sangue infetto, il danneggiato ha diritto al risarcimento dei danni patrimoniali e biologici subiti a causa della malattia infettiva contratta.

I danni patrimoniali sono tutti i costi sostenuti per fronteggiare la malattia e tutti i mancati guadagni derivanti dalla diminuzione della propria capacità di produrre reddito causata dalle lesioni subite.

I danni non patrimoniali risarcibili consistono:

  • nel danno biologico da invalidità permanente e inabilità temporanea;
  • nel risarcimento per le sofferenze patite e per il dolore causato dalla malattia (il cosiddetto danno morale):
  • nel risarcimento per lo scombussolamento delle proprie abitudini di vita (il cosiddetto danno esistenziale).

Anche i parenti del paziente contagiato hanno diritto ad ottenere un risarcimento:

  • quando vi è un decesso del danneggiato, causato dall’infezione provocata dalla trasfusione, i familiari hanno diritto al risarcimento del danno parentale;
  • quando il familiare è stato contagiato dal soggetto a cui è stata effettuata la trasfusione;
  • quando i familiari hanno patito delle perdite patrimoniali o modifiche peggiorative delle proprie abitudini quotidiane per seguire il malato.

 

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Indennizzo 210/92 per danni da trasfusione e vaccinazioni

Secondo la Legge n.210 del 1992, chiunque abbia riportato delle lesioni permanenti alla propria integrità psicofisica, causate da vaccinazioni obbligatorie o da malattie contratte da trasfusioni infette, ha diritto ad un indennizzo da parte dello Stato.

L’indennizzo consiste in un assegno bimestrale vitalizio, rivalutabile annualmente, reversibile per 15 anni (viene erogato agli eredi in caso di morte entro questo periodo) e con decorrenza dal mese successivo a quello di presentazione della domanda.

L’importo varia in base alla gravità della malattia contratta secondo 8 scaglioni prestabiliti dalle legge.

I beneficiari di questo indennizzo, inoltre, saranno esentati anche dai costi dei ticket sanitari relativi alla diagnosi e le terapie per la cura della patologia.

In caso di decesso del soggetto che ha contratto la malattia attraverso la trasfusione infetta, i parenti a carico (nel seguente ordine: coniuge, figli, genitori e fratelli) hanno diritto ad un assegno una tantum nella misura di circa 77.500,00 euro.

Per richiedere tale indennizzo è necessario compilare un modulo prestampato, disponibile nelle varie Asl oppure scaricabile da internet, da inviare al Ministero della Salute entro 3 anni da quando il soggetto si è accorto di aver contratto la patologia (anni che diventano 10 in caso di AIDS).

Andranno allegati al modulo tutti i certificati medici comprovanti la trasfusione, le patologie contratte e le condizioni attuali di salute del paziente.

L’ottenimento di questo indennizzo non preclude la possibilità per il danneggiato e per i familiari di richiedere anche il risarcimento dei danni al Ministero, alla struttura sanitaria o alla casa farmaceutica.

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